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Se è vero che con la riapertura della scuola genitori e insegnanti possono trovarsi di fronte a qualche (ci si augura piacevole o utile!) novità, è altrettanto vero che, ahimè, con grande probabilità dovranno riprendere in mano "vecchie questioni”, tra cui il famigerato bullismo. Ecco allora che ci si chiede “che fare?!”: sento spesso gli insegnanti dire di desiderare una mano per evitare che il fenomeno prenda piede nelle proprie classi o per disinnescare una dinamica già avviata, così come i genitori preoccupati che il proprio figlio possa esserne vittima. A tal proposito, è interessante notare come difficilmente si guardi al proprio figlio immaginandolo possibile autore di bullismo…La funzione di protezione sembra mettere in ombra a volte quella educativa, entrambe in realtà fondamentali nella cura e crescita dei bambini. Eppure, come vedremo in seguito, il bullo ha un suo “profilo” e attraverso gli atti di prevaricazione esprime dei bisogni e un disagio che vanno adeguatamente letti per intervenire efficacemente, a vantaggio di tutti. Ma andiamo con ordine, partendo dall’inquadramento e descrizione del fenomeno.

Origine, (con)cause e caratteristiche del fenomeno del bullismo

Innanzitutto, nonostante se ne faccia un gran parlare negli ultimi anni, c’è da dire che il bullismo non è un fenomeno recente: non è facile stabilire da quanto tempo esista esattamente, certo è che ha assunto una sua identità e quindi riconoscibilità già a partire dagli anni ’70, grazie agli studi pionieristici di Olweus, arrivando poi all’attenzione degli studiosi italiani a fine anni ’90.

Come in ogni fenomeno complesso, non è possibile individuare un’unica e definita causa del bullismo secondo l’ormai obsoleto modello lineare, al contrario sono individuabili diverse variabili che giocano il ruolo di concausa all’interno di un modello appunto multifattoriale e circolare. Tra gli elementi di “fragilità psico-sociale” che possono giocare appunto un ruolo nel sostenere oggi il fenomeno, segnalerei il sempre maggiore spazio dato alle logiche di potere nei diversi contesti sociali e l’indebolimento della funzione educativa della scuola e della famiglia. Il contesto tra pari diventa allora il terreno in cui giocare in modo aggressivo alcuni bisogni disattesi. Altro fattore di rischio (tanto per il bullo quanto per la vittima), può essere crescere in un ambiente dove c’è violenza domestica, ossia esposti a un modello relazionale regolato sul (abuso di) potere, con dinamiche vittima-carnefice.

Internet, poi, come sappiamo può essere un’ulteriore e pericolosa arma a portata di mano: il cyberbullismo si serve dell’anonimato e della vetrina virtuale per colpire in modo subdolo e doloroso la vittima, diffamarla, escluderla: si lancia la pietra e si nasconde la mano (dietro un profilo virtuale, appunto), si “lapida” la persona con la convinzione/scusante che non sarà quella singola pietra a ucciderla e invece… Dobbiamo purtroppo fare i conti con questa nuova e insidiosa forma di bullismo che va ad affiancarsi a quello diretto (con aggressioni fisiche o verbali) e a quello indiretto (pettegolezzi ed esclusione, agite nei contesti scolastici).

 

Il bullo e la sua vittima: come riconoscerli?

Per quanto riguarda le vittime di bullismo, si tratta solitamente di ragazzi ansiosi, insicuri, con scarsa autostima, isolati in classe. A volte sono portatori di una “differenza” che li rende in un certo senso più facilmente attaccabili (per esempio: omosessualità, sovrappeso, scarse abilità sociali o intellettive, stile non alla moda).

Come sappiamo, capita spesso che insegnanti e genitori non si accorgano di quanto accade quasi sotto il proprio naso...perchè?! Beh, diciamo che riconoscere la vittima di bullismo può non essere semplice ad un primo sguardo in quanto (ed è questo ciò su cui fa leva il bullo e che mantiene attivo il circuito), vinta dal senso di vergogna e dalla paura tenderà a nascondere le vessazioni subite. Può essere utile allora prestare attenzione ad altri segnali, sebbene aspecifici: bambini e adolescenti comunicano  molto attraverso il canale non verbale (comportamenti e corpo) piuttosto che con le parole, per cui potrebbero comparire insoliti atteggiamenti di ritiro, somatizzazioni, disturbi nelle condotte alimentari.

Per quanto riguarda invece l’autore di bullismo, c’è da dire che l’immagine del bullo con bassa autostima e contesto familiare di provenienza problematico è stata smentita da studi più recenti: è in genere un ragazzo con elevata autostima, bassa tolleranza alle frustrazioni, spesso viziato dai genitori. Attraverso il suo comportamento aggressivo, il bullo esprime il proprio bisogno di potere e dominio sugli altri: è alla ricerca di popolarità, rispetto e consenso nel gruppo. In altre parole, si sente un leader, ma non lo è affatto, poiché gli mancano le caratteristiche base per esercitare una vera e sana leadership: empatia, capacità di coinvolgimento e valorizzazione degli altri, senso della comunità. Il suo comportamento sembra pertanto parlare di una fragilità (intesa come “mancanza di”), ma non di insicurezza.

Mi sembra interessante segnalare, inoltre, che non è da escludere il viraggio da vittima a bullo: in alcuni casi, cioè, un ragazzo bullizzato diventa successivamente bullo, per via di un processo psicologico noto come “identificazione con l’aggressore”, cosa che gli permette anche una difesa da future aggressioni.

Altro elemento interessante: non sembrano esistere grandi differenze tra maschi e femmine in termini di incidenza del fenomeno, bensì solo nelle modalità. Poichè l’aggressività femminile tende ad esprimersi prevalentemente attraverso comportamenti verbali, le bulle puntano a danneggiare la vittima nelle sue relazioni sociali attraverso l’isolamento, il pettegolezzo, la critica. Ma alcuni recenti fatti di cronaca, sembrano dire che alla regola c’è l’eccezione, o forse addirittura una nuova realtà: anche le ragazze possono esercitare il cosiddetto bullismo diretto, con violenza fisica. 

 

Che fare? Indicazioni per genitori e insegnanti.

Vediamo tre indicazioni che, esplorando per così dire il problema da monte a valle, possono aiutare a gestirlo:

  • Fare prevenzione nelle scuole

La si può fare sia attraverso laboratori e progetti a tema (che possano offrire sostegno e formazione agli insegnanti, ma anche lavorare con i ragazzi) sia a più ampio spettro facendo educazione emozionale, utilizzando metodi educativi cooperativi ed empatici. La figura dello psicologo è una preziosa risorsa nella progettazione e/o coordinamento di queste attività.

  • Non sottovalutare episodi di violenza o scherno

A volte, sia i genitori che gli insegnanti possono essere tentati di leggere come “semplice ragazzata” qualcosa che merita invece una diversa attenzione, mentre è importante intervenire precocemente per evitare che si strutturi una vera e propria dinamica di bullismo. 

  • Assunzione di responsabilità e diretto intervento

Nel momento in cui gli atti di bullismo vengono a galla è importante che siano riconosciuti come tali e che ci sia una risposta sinergica e coerente da parte di genitori e insegnanti. Negare o sminuire l’accaduto, è assai dannoso. I bambini, e ancor di più gli adolescenti, hanno bisogno di adulti responsabili e di riferimento, capaci di “tenere” e rispondere ai propri comportamenti aggressivi o di sofferenza, se necessario proteggere e guidare. L’adulto delegante o spaventato non solo non aiuta i ragazzi nel loro percorso di crescita ma li danneggia.

 

Il contributo della psicologia e della psicoterapia

Come abbiamo già accennato, la psicologia ha diversi strumenti da mettere in campo nella prevenzione del bullismo, nonché nel sostegno dei diversi attori coinvolti nel fenomeno: la scuola, le famiglie e i ragazzi ne hanno tanto bisogno!

Ci sono poi gli strumenti di cura propri della psicoterapia, che possono essere rivolti a:

  • VITTIMA

la psicoterapia può offrirle uno spazio di ascolto e accoglienza del disagio utile a trovare la forza per uscire dal ruolo passivo che alimenta il circuito. Spesso arrivano in terapia giovani adulti che hanno subito segretamente atti di bullismo durante gli anni scolastici, in questo caso la narrazione e revisione della propria storia può aiutare ad elaborare i propri vissuti dolorosi e a trovare chiavi di volta per uscire da situazioni di analoga passività nel presente. 

  • BULLO

E’raro che il bullo arrivi in terapia nel periodo scolastico, forte del suo “successo” tra i pari. Può accadere invece dopo, quando, finita la scuola, la sua popolarità sfuma e lo stigma sociale per le condotte aggressive diventa più forte. Il lavoro si concentrerà sulle sue abilità sociali, autostima etc.

  • GENITORI

Non di rado mi capita di avere in terapia dei genitori di ragazzi bulli o bullizzati: in questo caso lavoro a sostenere la loro spesso fragile capacità di corretto e pronto intervento nei confronti dei figli.

 

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