È un disturbo in cui il soggetto teme fortemente che le proprie prestazioni possano essere esposte ad un giudizio negativo da parte degli altri.
Detta così, potremmo un po’ tutti ritrovarci in questo disturbo, ma non è semplice, una persona affetta da fobia sociale vive il disturbo come fortemente invalidante per la sua vita ed, effettivamente, lo è poiché fa si che anche le azioni che possono sembrare più banali, come mangiare in pubblico, firmare o parlare con uno sconosciuto, causino nell’individuo una forte ansia e lo portino ad evitare le situazioni che la provocano.
Il concetto di paura del pregiudizio è l’aspetto pregnante della fobia sociale, anche perché porta al mantenimento dell’ansia sociale.
Il modello cognitivo della fobia sociale può riassumersi col modello, sopra esposto, di Clark e Wells che prendono in considerazione il ruolo dei processi di autovalutazione negativa.
Quando il fobico deve affrontare una situazione sociale la giudica, a prescindere, pericolosa, temendo di agire in modo inadeguato e ciò lo porterà a forti ripercussioni negative sull’immagine che gli altri hanno di sè e sulla sua stessa percezione di se stesso.
Tutti questi giudizi di pericolo attivano cambiamenti fisiologici, cognitivi, emotivi e comportamentali che caratterizzano lo stato di ansia.
Questa attivazione è giudicata essa stessa un pericolo poiché potrebbe andare ad inficiare la sua prestazione, dunque conduce ad un’escalation dell’ansia e al conseguente mantenimento del problema.
I fobici sociali dunque, concentrano l’attenzione unicamente su loro stessi e le loro reazioni, senza prestare attenzione a quelle degli altri in quel momento, questo effettivamente porta alla riduzione della prestazione e a perdere consapevolezza delle informazioni interpersonali.
Il nostro fobico in realtà utilizza dei comportamenti protettivi, come evitare la situazione temuta, che in realtà rafforzano e perpetuano l’ansia e la percezione di essere valutato negativamente.
Il grande errore sta nel fatto che, per il paziente, se le conseguenze temute non si sono verificate è grazie all’uso dei comportamenti protettivi piuttosto che a giudizi distorti.
Il terapeuta cognitivo, tenendo a mente questo modello, dovrà far emergere le informazioni a lui utili per ricostruire il problema e le sue cause.
Alla base di tutto questo gli servirà comprendere i pensieri automatici negativi che emergono nell’affrontare una determinata situazione fobica, i comportamenti protettivi che il paziente mette in atto, quali sono i sintomi dell’ansia percepiti e come il paziente stesso si percepisce.
Il terapeuta dovrà dunque stimolare il paziente all’autoriflessione, a focalizzare l’attenzione sui suoi pensieri, in modo da poterli riportare interpretazioni che si fanno terapia al fine di comprendere a pieno la percezione di sé e le interpretazioni che fa delle situazioni.
Il terapeuta si focalizzerà su cosa succede nella situazione fobica da affrontare, per ricostruire a pieno ciò che succede, le sensazioni di ansie, i pensieri, e per individuare quali sono i comportamenti protettivi che, con l’avanzare del lavoro terapeutico, andranno eliminati.
Una volta compresi i meccanismi che si attivano, il terapeuta li condividerà con il paziente, in modo da discuterne e illustrarne i vari aspetti.
Il trattamento cognitivo per la fobia sociale si sviluppa in varie fasi ed è piuttosto complesso.
Si parte, prima di tutto, dal modificare i processi di elaborazione del sé, dunque il soggetto deve essere portato ad una reale osservazione di sé, verranno utilizzati registrazioni audio e video in cui il paziente, osservandosi, probabilmente scoprirà che l’immagine che dà agli altri di sé non è poi così negativa.
Altra fase è quella della riattribuzione verbale, arrivando a rielaborare in modo più realistico le convinzioni del paziente e arrivare a considerare strategie alternative, più utili, per valutare la situazione in esame.
In seguito si procederà con veri e propri esperimenti comportamentali di esposizione alla situazione fobica.
Con questi principali punti ho spiegato, in generale, come opera il modello cognitivo, solo per far emergere il principio di modifica e cambiamento che c’è alla base.
In generale dunque, il trattamento cognitivo viene presentato come una sequenza in cui concettualizzazione e spiegazione sono utilizzate per manipolare i comportamenti protettivi e per dirigere l’attenzione verso aspetti esterni alla situazione.
Le manipolazioni comportamentali inoltre, possono contribuire ad identificare i fattori che mantengono la fobia sociale e, spesso, forniscono un suggerimento per modificare l’intensità dei sintomi.
Dalla fobia sociale se ne esce. La psicoterapia, e in particolare la Terapia Cognitiva, si rivelano un ottimo modo per affrontare e meglio gestire, in poche sedute, questo disagio. Contattaci con fiducia, insieme troveremo il percorso migliore per superare la fobia sociale