Il concetto di adattabilità è spesso frainteso e utilizzato in modo approssimativo poco riconosciuto nella sua veste di significato.
Molte volte lo troviamo messo li, insieme ad esempio ad altri concetti come quello di crisi, per dare spiegazioni generiche e pluralistiche in differenti ambiti come: nei contesti sociali, psicologici, in quelli medici ecc,. In questo modo però, si tende ad allargare o restringere sempre di più i suoi confini, nell’ottica delle intenzioni e motivazioni umane, smarrendo cosi la chiave originaria che è di tipo filogenetica. Il concetto di adattabilità deriva da quello di adattamento inteso come un accomodamento, ciò che si trova utile in una relazione, ciò che diviene comodo per le parti in relazione.
Tra i primi a considerare i termini di adattamento e adattabilità c'è il famoso naturalista francese Jane Baptiste de Lamarck (1744-1929) che fornì la prova che gli organismi avevano subito, col passare del tempo, delle modificazioni e nel 1809, in un libro dal titolo “Philosophie zoologiche”, affermò che gli organismi si erano evoluti in risposta al loro ambiente. Evolvere significa passare da una forma ad un’altra e Lamarck fu il primo a suggerire il concetto di evoluzione per gli esseri viventi. Tutti gli esseri viventi osservava Lamarck, presentano dei sorprendenti adattamenti all’ambiente, con una perfetta corrispondenza fra le forme degli organismi e il compito o funzioni da essi svolto. Nell’ipotesi avanzata dal naturalista francese per esempio l’allungamento del collo della giraffa, come qualsiasi altro adattamento, è prodotto da una tendenza al miglioramento, propria dell’organismo una vera e propria spinta interna, in relazione alle caratteristiche specifiche di quel contesto ambientale e relazione. Infatti gli animali, nei quali non è sorta questa spinta interna sono rimasti a pascolare l’erba e hanno dato origine ad altre specie di erbivori, quali potrebbero essere gli antilopi, che hanno sviluppato altre caratteristiche per la sopravvivenza (la corsa). Invece altre specie che hanno vissuto una condizione di addomesticamento, quindi un condizionamento esterno, non hanno sviluppato altre caratteristiche funzionali alla loro sopravvivenza (es. le pecore). Da notare come nel mondo passato l’adattamento e il miglioramento è principalmente di tipo fisico e poi psichico.
Patologia e benessere
Oggi giorno è difficile definire cos’è la malattia e cos’è la patologia. Per esempio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità orienta le sue definizioni sui concetti di salute e benessere, cercando di raggrupparli in un insieme di più definizioni, che possono ampliare e saturare i due costrutti. Concordando su questa linea di pensiero e, utilizzando una chiave di lettura psicodinamica, un modello per cui ogni evento non nasce dal nulla ma dallo scontro e incontro di relazioni e dinamiche tra le parti, possiamo vedere come i concetti di salute e benessere, come quello di patologia e malattia siano tra di loro interconnessi, ed esprimono in modo diverso, più o meno, i livelli di comprensione e ascolto sia del proprio corpo che delle proprio mondo interno. Mondo interno purtroppo accantonato, poco considerato a vantaggio invece di un mondo rigido legato alle abitudini. L’abitudine e la consuetudine di vedere e vedersi sempre nello stesso modo, ci porta a non effettuare un adeguato esame della realtà, favorendo in questo caso la rigidità delle relazioni e di ruoli, che spesso non sono più funzionali e adattivi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità del 1948, ha definito la salute come: uno stato di completo benessere fisico, sociale e mentale, e non soltanto l’essenza di malattia o di infermità. La salute in quest’ottica viene considerata non tanto una condizione astratta, quanto un mezzo finalizzato ad un obiettivo che, in termini operativi, si può considerare una risorsa che permette alle persone di condurre una vita produttiva sul piano individuale, sociale ed economico. La salute è una risorsa per la vita quotidiana e non lo scopo dell’esistenza. Si tratta di un concetto positivo che valorizza le risorse sociali e personali, oltre alle capacità fisiche.
Negli anni 70 circa lo psicoanalista francese Bergert, costruisce un'interessante definizione di patologia, considerando la malattia come una sorta di scompenso nella vita della persona: scompenso o perdita di un equilibrio, che genera diverse conseguenze (malattie e sindromi) in relazione alla specifica struttura di personalità. Le malattie come le sindromi sono fattori precipitanti nella vita di un essere umano e si riferiscono a due aspetti: uno di tipo genetico ereditario; l’altro invece ad un insieme di aspetti legati e ancorati al nostro modo di vivere, al nostro stile di vita, quindi al modo con cui noi percepiamo il mondo, gli altri e come affrontiamo i conflitti. La maggioranza di noi prende poco sul serio il proprio sentire, il benessere (spesso associato al denaro e alla possibilità di avere), ma la salute non è un qualcosa che si può comprare o a cui accedere attraverso buoni punti. Il nostro corpo è ancora in gran parte sconosciuto, è un organismo perfetto che si è evoluto e si sta ancora evolvendo nel suo cammino.
Da notare come nel momento in cui si parla di benessere non possiamo fare a meno di ricordare la scarsa qualità e la cattiva educazione nelle nostre diete, in ciò che mangiamo, imbrigliate nelle logiche consumistiche dove qualità e vero risparmio non sono i loro veri punti di forza. Non dimenticando poi, la cattiva qualità dell’aria che respiriamo nelle nostre città, sempre più grandi,
sempre più trafficate, sempre più cemento rispetto al verde e alla possibilità di godere dell’ombra di un bell’albero.
L’adattamento come utilità.
Nel nostro presente globalizzato, robotizzato e ricco soprattutto di necessita superflue non dobbiamo direttamente confrontarci con la natura e le sue forze, non dobbiamo più sforzarci ad allungare il collo per prendere la mela in cima all'albero. La genialità della specie umana è riuscita ad andare oltre, purtroppo però, con un notevole dispendio di energie e vite, l’essere umano è riuscito a manipolare in gran parte la natura e se stesso, perdendosi. Siamo arrivati al punto che gli aspetti naturali a cui noi ci dobbiamo abituare e confrontare sono veramente minimi, rispetto a quelli sociali legati in particolar modo al sovraffolamento e, a quelli culturali che sono tipici delle specifiche culture che le hanno definite e inventate nel corso del tempo. In modo, forse, un poco estremo intendo dire che oggi ci confrontiamo nella maggiore parte dei casi con aspetti culturali e affettivo-relazionali. L’adattabilità, ovvero ciò che ci è utile e comodo all’interno di una relazione, i nostri modi di fare e di essere, i famosi vantaggi delle malattie e delle sindromi, e le forme più patologiche, quelle che presentano un maggior dispendio energetico, maggiori strascichi affettivi risultano essere la risultante di un prodotto che tende a disconoscere le reali potenzialità della persona.
C’è una sorta di propensione alla non riflessione, alla non reale percezione dei propri bisogni e quindi delle proprie emozioni, soprattutto alla loro espressione, continuamente accantonate come fondi di investimento per improvvise esplosioni violente, rabbiose o inaspettati comportamenti impulsivi, inattese ritirate, nascondendoci in questo caso, dietro le nostre ansie e le angosce di non essere all’altezza dei pregiudiziosi ideali. Siamo centrifugati e centripedati nei vortici degli aspetti socialmente costruiti, dimenticandoci e allontanandoci dalle nostre potenzialità, la difficoltà di porsi una domanda, la successiva risposta limitata a ciò che ci è strettamente utile e accomodante, la complessità e oscurità nel capire quali bisogni soddisfare, quali invece, stiamo nascondendo. Il nostro modo di porci, il nostro adattamento e la nostra personalità è continuamente espressa attraverso i nostri modi fare e di essere in relazione, non possiamo nasconderci poi cosi tanto, né da noi stessi né tanto meno degli altri.
Ognuno di noi occupa un preciso spazio nel nostro sistema o meglio nel nostro pianeta. Le ansie, angosce, le depressioni, la scarsa autostima, le dipendenze, e tutte quel ventaglio di emozioni negative come l’invidia, la vergogna, l’odio, le manipolazioni, le menzogne sono aspetti o parti che sono trasversali e cioè, fanno parte dei nostri adattamenti e condizionamenti, che vengono vissuti da tutti in momenti diversi e specifici della vita. Poi, sta a noi decidere quando è il tempo e il momento per capirli e superarli. Le patologie psichiche sono legate strettamente alla persona (e alla struttura di personalità) che nasce e si adatta (ovvero costruisce degli accomodamenti specifici che verranno traslati in tutte le future relazioni) in uno specifico contesto comunicativo e quindi relazionale affettivo. Purtroppo Madre Natura ci ha fornito il materiale ma siamo noi stessi ad utilizzarlo. Spesso rimango colpito (anche se noto una leggera inversione di tendenza) ancora oggi, come si pensi che il bambino e l’infante non siano in grado di capire e comprendere. Trascurando come la capacità di comprensione sia legata principalmente al livello evolutivo e, secondo, alla caratteristiche dello stimolo, quindi alla gestione e al filtro dell’adulto. Le problematiche si innescano nella relazione con l’adulto o il genitore che per non volontà, per semplicità o per propri limiti e bisogni, tende continuamente a mascherare parti di realtà, innescando in questo modo precisi adattamenti. L’importante meccanismo studiato dalla Klein dell’ identificazione proiettiva, che si innesca da subito, nelle prime fasi della relazione adulto bambino: dare senso e significato all’esperienza del piccolo, in base a ciò che si è compreso, o meglio a ciò che si è interiorizzato, che possa successivamente fare da ponte al piccolo alla sua percezione dei propri bisogni e dell’esame della realtà.
Il punto di partenza sarebbe la domanda “come mai non l’ho pensato prima, oppure perché non ritengo necessario spiegarlo o farlo, e per quale motivo?" Le risposte sono le più dure da accettare e metabolizzare perché vanno ad attaccare i nostri limiti e i nostri adattamenti, in pratica i mezzi o quello che fin a quel momento abbiamo utilizzato e imparato per confrontarci: mettono in discussione la nostra famiglia, il nostro gruppo di origine dove siamo nati e cresciuti, esempio “i miei facevano sempre cosi, oppure io sono cosi ecc.ecc”. Partendo dal presupposto che non c’è un opposto del comportamento, la non volontà deve essere necessariamente vista come la manifestazione di volontà di non fare, di non dire, di non capire e di non spiegare. E se non ho la forza e il sentimento o la spinta a non capire e a non fare, vuol dire che l’adattabilità è fortemente predominante e più vantaggiosa nella soddisfazioni dei bisogni.
I miglioramenti nell’adattamento.
Sempre nel nostro presente veloce, vorace e famelico prevalgano moltissime soluzione per le proprie difficoltà e problematiche. Le possibilità sono molte e tutte possono essere adeguate alla persona e ai suoi bisogni rilevati in quei momenti. Anche l’uso dei farmaci potrebbe essere una iniziale soluzione, anche perché le sostanze possono in tal caso essere un sostegno, anche molto valido, presentando però delle controindicazioni, ma il vero aiuto è sempre legato allo sforzo della persona di capirsi, conoscersi e affrontare e accettare i propri condizionamenti. In poche parole: non c’è miglior medico di se stesso. In questo caso l’analisi e le psicoterapie hanno come obiettivo quello di riportare la persona al centro di sé, di divenire capitani e comandanti del nostro corpo e delle nostre intenzioni, quindi facilitare, migliorare e innescare un processo di conoscenza e di cura della propria persona.
Senza andare oltre perché ci sarebbe da scrivere e scrivere, possiamo dire come le scienze psicologiche e l’avvento della psicoanalisi e le sue riflessioni, hanno portato la configurazione di numerose scuole e corretti di pensiero, le quali hanno dato un notevole contributo sulla conoscenza dell’essere umano, in particolar modo nella sua adattabilità (ciò che ci è utile e comodo) nella parti in relazione. Riconoscendo diversi e importanti contributi scientifici, ne voglio sottolineare uno, quello della scuola di Palo Alto: l’importanza della comunicazione e i suoi assiomi; i significati e i ruoli tra le parti, gli aspetti socialmente costruiti “la cultura”. Per essere più chiari, un individuo forma la sua personalità all’interno di un continuo contesto comunicativo, attraverso il quale impara a soddisfare i propri bisogni, quindi cresce all’interno di un piccolo gruppo con il quale si confronta con concetti e preconcetti formati da altri gruppi.
Dopo questo lungo preambolo, forse noioso, ma secondo me indispensabile per poter comprendere la prospettiva e la mia cornice di riferimento, il vero punto di partenza utile a questa riflessione scritta è semplicemente una domanda…: tutti noi ci tendiamo ad adattare all’esame di realtà più o meno, (e abbiamo visto come l’adattamento porta una sorta di accomodamento, di utilità all’interno di una relazione in altre parole una sorta di equilibrio attraverso cui la persona riesce a soddisfare i suoi bisogni), ma perché alcuni adattamenti sono più funzionali rispetto ad altri? E perché il nostro modo è diverso da quello di un altro?!
Queste potrebbero essere delle domande a cui si potrebbe rispondere insieme..
Per qualsiasi domanda o specificazione potete contattarmi telefonicamente a questo numero tel 3288116638, o magari inviarmi una vostra risposta via email a questo indirizzo: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Buon lavoro Paolo.